infortuni sul lavoro

Infortunio sul lavoro e danno differenziale

di Bruno Avv. Bellisai

L’articolo 2087 c.c. recita “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

A chi spetta la tutela della salute dei dipendenti?

La norma configura in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutela della salute dei dipendenti.
Si tratta di una legge di chiusura dell’intero sistema normativo antinfortunistico, dettata dal rilievo costituzionale del diritto alla salute delle persone (art. 32 Cost.) e, al contempo, aperta a recepire ogni miglioramento dei livelli della sicurezza al progredire della tecnica e dell’organizzazione del lavoro.

Pertanto, l’imprenditore che, pur avendo adottato le specifiche cautele antinfortunistiche previste dalla legge, non le abbia adeguate alla migliore tecnologia esistente al momento del sinistro, sarà responsabile per infortunio occorso al dipendente.

In tale situazione e in base alla norma sopra citata, comporterà per il datore di lavoro una responsabilità civile, ma spesso anche una responsabilità penale

In ambito civilistico, come precisa la Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 19.06.2020 n. 12041), “la responsabilità del datore di lavoro va accertata con criteri di tipo civilistico, esattamente secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa e al nesso causale tra fatto ed evento dannoso”. Il medesimo accertamento del nesso di causalità e della colpa saranno tema fondamentale di prova anche nel processo penale per lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) o omicidio colposo (art. 589 c.p.) con violazione delle norme antinfortunistiche sul lavoro.

Ma i due valori costituzionali della tutela della vita e della salute dei lavoratori (ex art. 32 Cost.), da un lato, e il rispetto del principio di colpevolezza (ex art. 27, 1° comma Cost) riescono davvero a convivere senza entrare in conflitto tra loro?

La risposta non è così agevole. Se si considera che la responsabilità del datore di lavoro viene esclusa dalla giurisprudenza soltanto quando l’imprudenza del lavoratore si sia sostanziata in un comportamento talmente anomalo e abnorme, in quanto totalmente estraneo alla tipologia di prestazione lavorativa, da integrare una condizione sopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento.

Il comportamento imprudente del lavoratore non esclude, invece, la responsabilità del datore di lavoro se questi non abbia intrapreso alcuna azione concreta ad evitarlo, poiché la norma cautelare ha per scopo anche di prevenire gli errori e le imprudenze del dipendente

Danno Differenziale: cos’è.

Il c.d. danno differenziale è quello dovuto per la quota eccedente le indennità liquidate dall’Istituto Assicuratore e comprende tutte le tipologie di danno che il lavoratore ha subito a causa dell’infortunio, danno patrimoniale e non patrimoniale, e rimane a carico del datore di lavoro.

Come viene calcolato il Danno Differenziale?

L’art. 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000 che prevede le indennità erogate dall’INAIL in base alla percentuale di invalidità permanente riconosciuta al dipendente infortunandosi sul lavoro:
– nessun indennizzo per danni inferiori al 6%;
– un indennizzo per danno biologico, versando una somma capitale per danni dal 6% al 15%;
– un indennizzo sotto forma di rendita vitalizia per danni dal 16% al 100%.

Va infine considerata la legittimazione dell’INAIL ad agire in regresso nei confronti del datore di lavoro e pretendere la restituzione degli indennizzi corrisposti, quando sia a questi attribuibile una responsabilità penale.  L’art. 10 del DPR 1124 del 1965 precisa infatti che “nonostante l’assicurazione, resta la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato.”

Lavoro e CORONAVIRUS: responsabilità penali per inosservanza norme.

di Nicoletta avv. Capone


In realtà, nulla di nuovo sotto il sole, eccetto il Coronavirus.  

Il decreto Cura italia* considera il contagio da coronavirus in ambito di lavoro come un infortunio meritevole di ricevere la copertura assicurativa Inail.  L’Inail, dal canto suo, ha precisato** che le malattie infettive e parassitarie, come il Coronavirus, sono inquadrate nella categoria degli infortuni sul lavoro e, come tale, pone un potenziale profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a prevenirne il rischio.

Responsabilità del datore di lavoro in tempo di coronavirus.

Il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche è punibile***. Tale condotta omissiva ha rilevanza causale solo rispetto a quei soggetti che, come i datori di lavoro, rivestono una posizione di garanzia, ossia hanno l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell’evento lesivo, in virtù della particolare relazione che li lega al bene protetto. 

In sostanza, per il datore di lavoro – che per legge ha l’obbligo giuridico di evitare che il lavoratore si ammali nell’ambiente lavorativo – non impedirlo equivale a cagionarlo.

Fattispecie dolose possibili?

Verosimilmente il datore di lavoro si troverebbe a rispondere del reato di lesioni  colpose di cui all’art. 590 c.p. oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, con l’aggravante di aver violato le norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.) o comunque di non aver adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori.

La normativa statale di riferimento è il Testo Unico Salute e Sicurezza sul lavoro (D. Lgs. n. 81/2008 e sue successive integrazioni e modificazioni) il quale coordina tutte le norme in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro e stabilisce una serie di interventi da osservare per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Ora, posto che l’infezione da Coronavirus rientra nell’ambito delle malattie infettive e parassitarie, incombe sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020 l’obbligo di osservare il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali.

La semplice inosservanza di una delle norme del DPCM è sufficiente a determinare una responsabilità penale? 

La risposta è: forse no, ma è molto rischioso.

La particolare virulenza del Coronavirus comporta una notevole difficoltà di escludere altre possibili cause di contagio, quali la vicinanza ad altre persone positive in luoghi diversi quali la famiglia, negozi, luoghi di culto, mezzi pubblici, etc.

Pertanto, se è vero che spetta al lavoratore – e soprattutto alla Pubblica Accusa (art. 27 Cost.) – l’onere di provare “al di là di ogni ragionevole dubbio” che il contagio è avvenuto nell’ambiente di lavoro, è altrettanto inopinabile che il datore di lavoro si mette in una posizione di maggiore tranquillità processuale quando può dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere ogni sua responsabilità.

Perché, allora, la previsione di una sanzione penale? 

Per ragioni di prevenzione generale: in altre parole, la difficoltà oggettiva di individuare con certezza pressoché assoluta il luogo del contagio da Coronavirus non deve costituire motivo di inosservanza od anche solo di allentamento delle misure protettive da parte del datore di lavoro, che l’obbligo giuridico ed ancor prima morale di proteggere i propri lavoratori.

*art. 42, comma 2 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020

**circ. n. 13 del 3 aprile 2020 

***dell’art. 40, comma secondo del codice penale