Lavoro e CORONAVIRUS: responsabilità penali per inosservanza norme.

di Nicoletta avv. Capone


In realtà, nulla di nuovo sotto il sole, eccetto il Coronavirus.  

Il decreto Cura italia* considera il contagio da coronavirus in ambito di lavoro come un infortunio meritevole di ricevere la copertura assicurativa Inail.  L’Inail, dal canto suo, ha precisato** che le malattie infettive e parassitarie, come il Coronavirus, sono inquadrate nella categoria degli infortuni sul lavoro e, come tale, pone un potenziale profilo di responsabilità penale per il datore di lavoro che non abbia adottato le misure necessarie a prevenirne il rischio.

Responsabilità del datore di lavoro in tempo di coronavirus.

Il datore di lavoro che non osserva le norme antinfortunistiche è punibile***. Tale condotta omissiva ha rilevanza causale solo rispetto a quei soggetti che, come i datori di lavoro, rivestono una posizione di garanzia, ossia hanno l’obbligo giuridico di impedire il verificarsi dell’evento lesivo, in virtù della particolare relazione che li lega al bene protetto. 

In sostanza, per il datore di lavoro – che per legge ha l’obbligo giuridico di evitare che il lavoratore si ammali nell’ambiente lavorativo – non impedirlo equivale a cagionarlo.

Fattispecie dolose possibili?

Verosimilmente il datore di lavoro si troverebbe a rispondere del reato di lesioni  colpose di cui all’art. 590 c.p. oppure di omicidio colposo ai sensi dell’art. 589 c.p. qualora al contagio sia seguita la morte, con l’aggravante di aver violato le norme antinfortunistiche (art. 590, comma 3, c.p.) o comunque di non aver adottato tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità psicofisica dei lavoratori.

La normativa statale di riferimento è il Testo Unico Salute e Sicurezza sul lavoro (D. Lgs. n. 81/2008 e sue successive integrazioni e modificazioni) il quale coordina tutte le norme in materia di salute e di sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro e stabilisce una serie di interventi da osservare per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Ora, posto che l’infezione da Coronavirus rientra nell’ambito delle malattie infettive e parassitarie, incombe sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020 l’obbligo di osservare il protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali.

La semplice inosservanza di una delle norme del DPCM è sufficiente a determinare una responsabilità penale? 

La risposta è: forse no, ma è molto rischioso.

La particolare virulenza del Coronavirus comporta una notevole difficoltà di escludere altre possibili cause di contagio, quali la vicinanza ad altre persone positive in luoghi diversi quali la famiglia, negozi, luoghi di culto, mezzi pubblici, etc.

Pertanto, se è vero che spetta al lavoratore – e soprattutto alla Pubblica Accusa (art. 27 Cost.) – l’onere di provare “al di là di ogni ragionevole dubbio” che il contagio è avvenuto nell’ambiente di lavoro, è altrettanto inopinabile che il datore di lavoro si mette in una posizione di maggiore tranquillità processuale quando può dimostrare di aver adottato tutti i presidi indicati dalla legge per escludere ogni sua responsabilità.

Perché, allora, la previsione di una sanzione penale? 

Per ragioni di prevenzione generale: in altre parole, la difficoltà oggettiva di individuare con certezza pressoché assoluta il luogo del contagio da Coronavirus non deve costituire motivo di inosservanza od anche solo di allentamento delle misure protettive da parte del datore di lavoro, che l’obbligo giuridico ed ancor prima morale di proteggere i propri lavoratori.

*art. 42, comma 2 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020

**circ. n. 13 del 3 aprile 2020 

***dell’art. 40, comma secondo del codice penale