FAQ
Domande frequenti
Mobbing e Stalking: differenze, tutele e risarcimento
Cos’è il Mobbing?
Ogni erede può chiedere la divisione a prescindere dalla sua quota di competenza.
È una sorta di persecuzione esercitata sul posto di lavoro da superiori o colleghi nei confronti di un individuo, consistente per lo più in piccoli atti o gesti quotidiani diretti ad emarginare, a far violenza psicologica o danno dal punto di vista professionale, ma che può spingersi fino all’aggressione fisica.
C’è differenza tra Mobbing e Stalking?
In astratto è possibile ricondurre le condotte di mobbing lavorativo nell’alveo degli “atti persecutori” di cui all’art. 612 bis c.p. (Stalking).
La condotta descritta dall’art. 612 bis c.p. può esplicarsi con diverse modalità in qualsiasi ambito sociale, purché diretta a ledere il bene tutelato che è la libertà morale della persona offesa.
Il datore di lavoro è tenuto ad intervenire a tutela del dipendente vittima di Mobbing?
La Corte di Cassazione, con sentenza 4 dicembre 2020 n. 27913, in un caso di mobbing perpetrato dai colleghi di pari livello della vittima, ha confermato la responsabilità del datore di lavoro (nel caso in esame, a conoscenza degli episodi persecutori) che aveva omesso di intervenire a tutela del dipendente interessato.
Quale tipo di risarcimento del danno può richiedere la vittima di Mobbing?
La Corte di Cassazione, con ordinanza 9 giugno 2021, n. 16153, decidendo sulla congruità del risarcimento del danno derivante da mobbing, affronta nuovamente la questione dell’unitarietà del danno non patrimoniale e ribadisce la validità delle cd. “Tabelle di Milano”, che prevedono un’unica voce danno biologico, morale ed esistenziale, con possibilità di personalizzazione se adeguatamente motivata.
Avvocato e dintorni
Quanto costa un avvocato?
L’Avvocato deve sottoporre al cliente un preventivo?
Il cliente deve sentirsi libero di chiedere qualsiasi precisazione sul preventivo.
Cosa significa la voce “spese” nel preventivo?
Qualora non vi provveda direttamente il cliente, dovranno essere rimborsate all’avvocato anche gli importi versati a terzi per le esigenze del caso, quali le spese di consulenti tecnici.
Esistono tariffe professionali?
In Italia le tariffe sono state abrogate ed i compensi possono essere determinati liberamente da ogni avvocato, entro i limiti di una giusta proporzione rispetto al tipo di attività professionale, che può essere oggetto di un controllo da parte dell’Ordine degli Avvocati.
Cosa può fare il cliente in caso di disaccordo sul compenso?
Se ritenete che le spese e i compensi che vi vengono richiesti siano eccessivi o se non comprendete una prestazione fatturata, parlate prima con il vostro avvocato.
Il dialogo spesso permette di chiarire le cose e di risolvere le difficoltà.
Che cosa è il patrocinio gratuito?
È la possibilità di essere difesi a spese dello Stato in un giudizio da un avvocato iscritto in apposite liste tenute dall’Ordine degli Avvocati. Di tale beneficio possono godere le persone che hanno risorse insufficienti, cioè al di sotto di un certo reddito previsto dalla legge.
E' meglio scegliere un Avvocato specializzato o generalista?
È vero, però, che la maggior parte degli avvocati ha spesso uno o più settori giuridici nei quali ha sviluppato nel tempo un’esperienza e una competenza specifica.
Gli avvocati detti «generalisti» praticano indifferentemente qualsiasi materia giuridica.
Successioni, eredità, tutela del patrimonio, incapacità e sostegno
Che ne sarà del mio patrimonio quando non ci sarò più?
Programmare con calma e in anticipo la sorte dei nostri beni e la loro gestione per il tempo in cui non ci saremo più significa non solo mettere al sicuro il frutto di una vita di lavoro, ma anche evitare di disperderne una buona parte a causa di liti familiari o di imposizioni fiscali più gravose.
Quali possono essere gli strumenti per attuare il passaggio generazionale del mio patrimonio?
Le soluzioni sono molteplici, ma non tutte sono adatte e possono essere applicate ad ogni tipo di patrimonio. Dipende dal tipo di patrimonio di cui si dispone, dalla complessità dei rapporti famigliari, dall’obiettivo che ci si prefigge.Non è necessario, quindi, che vi siano condotte di aggressione fisica.
Ci sono degli strumenti utili per programmare la gestione della mia azienda quando non potrò più essere io a farlo?
Gli strumenti giuridici ci sono, ma devono essere “confezionati” ad hoc per il singolo caso da risolvere, in quanto non tutti risultano efficaci per ogni singolo patrimonio e, soprattutto, a volte vi è la necessità di utilizzare ed integrare più di uno strumento.
Oltre agli strumenti di tutela del patrimonio più conosciuti (polizze assicurative, fondi patrimoniali ecc..), nell’ambito aziendale si può ricorrere al Patto di famiglia, alla Fondazione, ai Fondi immobiliari o ad altre operazioni da effettuare sul capitale.
Qualora io mi trovassi nell’impossibilità, anche temporanea e/o parziale, di provvedere ai miei interessi, cosa si potrebbe fare?
Nei casi di incapacità, anche temporanea e/o parziale, di tutelare i propri interessi a causa di una menomazione, sia fisica che psichica, l’art. 404 del codice civile prevede la possibilità che la persona venga assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo di residenza della persona stessa.
In caso di comunione ereditaria chi può chiedere la divisione giudiziale?
Ogni erede può chiedere la divisione a prescindere dalla sua quota di competenza.
Prima di radicare la causa divisoria è tuttavia necessario attivare il procedimento di mediazione (ex D.lgs. 28/2010) presso un Organismo riconosciuto dal Ministero della Giustizia e con l’assistenza di un avvocato.
Attesi i tempi ordinari del processo civile, è prevista una procedura più celere per addivenire alla divisione giudiziale della comunione ereditaria?
Si, si tratta della divisione a domanda congiunta prevista dall’art. 791 bis c.p.c.
In tal caso, se non ci sono contestazioni sulle quote di competenza o altre questioni pregiudiziali, il ricorso è presentato da tutti gli eredi.
Il Giudice dà incarico a un professionista di predisporre un progetto divisionale, oppure la vendita dei beni non comodamente divisibili.
Se non ci sono opposizioni il Giudice dichiara esecutivo il progetto.
Violenza sulle donne
Cosa sono gli atti persecutori o stalking?
I comportamenti persecutori sono definiti come “un insieme di condotte oppressive, sotto forma di minacce, molestie, atti lesivi continuati che inducono nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore”.
È la modalità ripetuta nel tempo, contro la volontà della vittima, che caratterizza le condotte persecutorie.
Cosa devo fare se l’ex marito/moglie, compagno/a, fidanzato/a non smette di fare telefonate assillanti, pedinare, molestare, magari perché vorrebbe riprendere la relazione?
Si può presentare querela, recandosi da un avvocato o presso un Comando Arma dei Carabinieri o Ufficio di Polizia. Si può richiedere l’ammonimento del soggetto autore di tali comportamenti persecutori.
Lo stalker è necessariamente una persona con cui si è avuta una relazione?
No, gli atti persecutori possono esser posti in esser da chiunque, anche al di fuori di rapporti di diretta conoscenza personale.
Cosa accade al soggetto che, ammonito dal Questore, persevera nel suo comportamento persecutorio?
Lo si riferisce alle Autorità competenti. In tal modo l’autore viene perseguito penalmente senza più la necessità che la vittima presenti querela.
Ho sentito parlare del gratuito patrocinio per le persone vittime di violenza: di che cosa si tratta?
La persona offesa dai reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale nelle sue varie articolazioni, stalking ed altri che implicano violenza alla persona, può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto.
L’Avvocato potrà spiegare le modalità per compilare la domanda.
Sono io la causa della violenza che subisco? Sono io che innesco reazioni violente?
Nessun comportamento o provocazione messi in atto dalle donne giustifica la violenza da loro subita. Teniamo presente che la maggior parte dei fatti di violenza sono premeditati.
Come riconosco la violenza psicologica?
Dal messaggio che ne deriva: la violenza psicologica induce la vittima a pensare di essere una persona priva di valore. In questo modo la donna che la subisce diventa disponibile ad accettare in seguito anche comportamenti violenti, essendo stata “convinta” dal soggetto abusante che se li “merita”.
Quando è il caso di fare una denuncia o querela?
Se la donna non è pronta a denunciare il soggetto maltrattante, si può cominciare con il richiedere l’ammonimento del Questore.
Si può sporgere denuncia o querela anche nel caso di un singolo episodio di violenza quale lesione personale (art. 582 c.p.), ingiuria (art. 594 c.p.), violenza privata (610 c.p.), minaccia (612 c.p.), molestia (660 c.p.) e maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.).
Nel caso di violenza sessuale il tempo utile per la querela è prolungato fino a dodici mesi e la querela è irrevocabile; in alcuni casi può essere procedibile d’ufficio.
È possibile ottenere degli interventi immediati?
Si, si possono chiedere provvedimenti cautelari, che emette il Giudice.
Con il provvedimento che dispone l’allontanamento, il Giudice prescrive all’abusante di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del Giudice che procede.
L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita. Qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi congiunti, il Giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa (luogo di lavoro, domicilio suo e dei congiunti).
Il Giudice, su richiesta del P.M., può anche ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che rimangano prive dei mezzi adeguati a causa della misura cautelare disposta.
Se faccio denuncia, cosa ne è dei figli?
Nulla. Anzi, le madri hanno il dovere morale e giuridico di proteggere i propri figli dalla violenza, anche solo assistita, cioè di cui siano solo spettatori.
Commette il reato di maltrattamenti in famiglia il coniuge o il convivente che - seppur alla fine di una relazione - minaccia, controlla con ogni mezzo, disprezza, offende e denigra l’altro coniuge o convivente?
SI, trattandosi di atti di sopraffazione, reiterati nel tempo, tali da offendere l’integrità psico-fisica, il patrimonio morale, la libertà e l’onore del soggetto passivo.
Non è necessario, quindi, che vi siano condotte di aggressione fisica.
Licenziamenti, NASPI e COVID
Cos’è "l'offerta di conciliazione"?
Tale offerta è la somma predeterminata che il datore di lavoro propone, a titolo di conciliazione, al lavoratore che ha impugnato il licenziamento e che, in caso di accettazione, comporta la risoluzione della controversia al di fuori delle sedi giudiziali.
È stata introdotta dal Decreto Legislativo n. 23/2015 (contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti) che all’art. 6 prevede appunto che tale offerta venga avanzata dal datore di lavoro entro il termine di impugnazione del licenziamento, ovvero 60 giorni dall’intimato licenziamento.
Questa somma è pari a una mensilità per ogni anno di servizio e non può essere inferiore a 3 e superiore a 27 mensilità per le aziende che occupano più di 15 dipendenti; non deve essere inferiore a 1,5 e superiore a 6 per le aziende che invece occupano 15 o meno di 15 dipendenti.
Cos’è la “risoluzione consensuale” del rapporto di lavoro (che dà diritto alla NASPI)?
La risoluzione consensuale è un accordo tra datore di lavoro e lavoratore per porre fine al rapporto di lavoro. Si tratta di una specie di conciliazione in base alla quale l’azienda invia – obbligatoriamente – alla Direzione Territoriale del Lavoro la comunicazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo con l’indicazione dei motivi e delle eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. Seguirà un tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione. Qualora il tentativo di conciliazione sfoci in una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il lavoratore avrà diritto alla NASPI.
La predetta risoluzione consensuale è disciplinata dall’art. 7 L. n. 604/1966 (modificato dall’art. 1 comma 4 della L. n. 92/2012).
Qual è l’importo mensile che viene corrisposto con la NASPI?
L’indennità mensile è pari al 75% della retribuzione
Ci sono casi in cui il lavoratore è tenuto a restituire all’INPS la NASPI percepita?
Sì, quando:
– a seguito di contenzioso giudiziario o a seguito di trattativa stragiudiziale, viene reintegrato nel posto di lavoro con diritto al percepimento di tutte le retribuzioni perse dal giorno del licenziamento a quello della reintegra;
– a seguito di dimissioni per giusta causa motivate da un illegittimo trasferimento, il lavoratore non radichi una causa giudiziale al fine di dimostrare l’effettiva illegittimità del trasferimento impostogli.
In periodo di epidemia da Covid, il mancato pagamento di alcune mensilità del canone di locazione, per le attività commerciali e professionali, comporta lo sfratto per morosità?
NO, la responsabilità del debitore va – in questo caso – valutata tenendo conto anche delle misure di contenimento imposte al debitore nel periodo di riferimento, oltre alle altre circostanze quali: importo delle morosità, durata temporanea della stessa, condotta improntata a correttezza e buona fede del conduttore.
L’onere di provare il licenziamento verbale grava sul lavoratore?
SI, la parte che deduce l’estinzione del rapporto è tenuta a dimostrare ai sensi dell’art. 2697 c.c. la sussistenza di un fatto idoneo alla sua risoluzione, ossia la volontà esclusiva datoriale, anche se espressa mediante comportamenti concludenti.
Può essere licenziato il lavoratore che rifiuta la vaccinazione da Covid-19?
NO, L’eventuale rifiuto del dipendente non consente la configurabilità di una causa soggettiva legittimante il licenziamento del lavoratore.
Qualora le mansioni non possano essere svolte in Smart-working e il dipendente non sia altrimenti impiegabile, si potrà procedere alla sospensione dal lavoro senza diritto alla retribuzione.
Smart-working e Coronavirus
Cos’è il telelavoro?
Il lavoratore nel telelavoro deve rispettare un certo orario lavorativo?
Che differenza c'è tra telelavoro e Smart Working?
Il domicilio del dipendente che lavora in Smart Working deve rispondere ai requisiti di sicurezza richiesti dalla L. 81?
Il datore di lavoro può decidere unilateralmente di ricorrere allo Smart working?
Sì, il datore di lavoro potrà decidere unilateralmente di far svolgere le prestazioni lavorative dei propri dipendenti in regime di Smart working fino al 15 ottobre 2020, data in cui cesserà – salvo ulteriori proroghe – lo stato di emergenza.
La prestazione lavorativa in Smart working dove può essere svolta?
A differenza del Telelavoro, la prestazione lavorativa in Smart working può essere svolta in qualunque luogo (non vi sono vincoli spaziali e orari) mediante l’utilizzo di strumentazione che consenta di lavorare da remoto (quali, ad esempio, Tablet, Pc o Smartphone).
Il lavoratore in Smart working può essere licenziato?
Si, al pari di qualsiasi altro dipendente, anche il lavoratore che svolge la propria mansione in regime di Smart working è soggetto alla disciplina generale sui licenziamenti.
Quali categorie di lavoratori hanno diritto ad oggi di svolgere la propria attività in Smart working?
Ad oggi, il genitore di un figlio minore di anni 14 ha diritto a svolgere la sua attività in Smart working se:
- il figlio sia con lui convivente;
- l’altro genitore non sia lavoratore in congedo o a casa per qualsiasi altro motivo;
- la quarantena deve essere stabilita da provvedimento dell’autorità sanitaria.
Se un dipendente si contagia di Coronavirus azienda, è di infortunio sul lavoro? della fisarmonica
Si, l’INAIL considera infatti “la causa virulenta equiparata a quella violenta” e quindi collegata al rapporto di lavoro.
Nell’ipotesi di contagio, il datore di lavoro risponde anche in caso di negligenza del lavoratore?
Sì, la negligenza e l’imprudenza del lavoratore per non aver utilizzato i dispositivi di protezione non sono ritenuti idonei ad escludere la responsabilità del datore di lavoro.
Il datore di lavoro è responsabile in caso di contagio dei dipendenti?
Ha responsabilità sia sotto il profilo civile che sotto il profilo penale.
Anche nel caso abbia seguito le misure di prevenzione del contagio poste dai vari protocolli nazionali e territoriali, in quanto la giurisprudenza richiede di adottare tutte le misure idonee nello specifico contesto aziendale.
Altri argomenti
È reato rifiutare di sottoporsi ad alcoltest?
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, sez. IV penale, sentenza 16 dicembre 2020 – 31 marzo 2021, n. 12142, sussiste il reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamento del tasso alcolemico anche quando il conducente, pur non essendosi opposto all’accompagnamento in caserma, una volta ivi giunto, rifiuti l’alcoltest.
Durante questo periodo di pandemia da Covid-19 la legge è meno severa nei confronti dei medici?
l decreto – legge n. 44/2021 ha introdotto l’art. 3, che esenta da responsabilità penale per omicidio colposo e lesioni colpose i sanitari che somministrano il vaccino per la prevenzione delle infezioni da Covid 19 nel corso della campagna vaccinale straordinaria, quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione.