Category: Diritto del Lavoro

Contagio COVID e infortunio sul lavoro

di Avv. Bruno Bellisai

L’infezione da Covid, se contratta in occasione del lavoro, è tutelata dall’INAIL quale infortunio sul lavoro. Per tale patologia infettiva, infatti, la causa virulenta viene equiparata alla causa violenta propria dell’infortunio.

Cosa comprende l’indennità INAIL?

L’indennità temporanea assoluta riconosciuta dall’INAIL riguarda sia il periodo di impossibilità fisica della prestazione lavorativa, sia il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria.

Come si prova l’avvenuto contagio al lavoro?

Per presunzione semplice. È possibile provare l’avvenuto contagio per motivi professionali stabilendo che l’evento infettante sia conseguenza probabile e verosimile – secondo il buon senso e la normalità – di un contatto avvenuto durante l’attività lavorativa.
Ciò in particolare riguarda alcune categorie di lavoratori, per il fatto che le specifiche mansioni in cui sono adibiti li espongono maggiormente al rischio.
In ogni caso è ammessa la prova contraria da parte dell’Istituto.

Differenze tra presupposti per l’indennizzo INAIL e Responsabilità del datore di lavoro.

Non vanno confuse le condizioni per l’erogazione dell’indennizzo da parte dell’INAIL con quelle per la responsabilità penale e civile del datore di lavoro, che va accertata con criteri diversi e che presuppongono quantomeno una sua condotta colposa.
Infatti, la responsabilità del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi previsti, mentre nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid, dai protocolli e dalle linee governative e regionali.

Infortunio sul lavoro e danno differenziale

di Bruno Avv. Bellisai

L’articolo 2087 c.c. recita “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

A chi spetta la tutela della salute dei dipendenti?

La norma configura in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutela della salute dei dipendenti.
Si tratta di una legge di chiusura dell’intero sistema normativo antinfortunistico, dettata dal rilievo costituzionale del diritto alla salute delle persone (art. 32 Cost.) e, al contempo, aperta a recepire ogni miglioramento dei livelli della sicurezza al progredire della tecnica e dell’organizzazione del lavoro.

Pertanto, l’imprenditore che, pur avendo adottato le specifiche cautele antinfortunistiche previste dalla legge, non le abbia adeguate alla migliore tecnologia esistente al momento del sinistro, sarà responsabile per infortunio occorso al dipendente.

In tale situazione e in base alla norma sopra citata, comporterà per il datore di lavoro una responsabilità civile, ma spesso anche una responsabilità penale

In ambito civilistico, come precisa la Suprema Corte (Cass. Sez. Lav. 19.06.2020 n. 12041), “la responsabilità del datore di lavoro va accertata con criteri di tipo civilistico, esattamente secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa e al nesso causale tra fatto ed evento dannoso”. Il medesimo accertamento del nesso di causalità e della colpa saranno tema fondamentale di prova anche nel processo penale per lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) o omicidio colposo (art. 589 c.p.) con violazione delle norme antinfortunistiche sul lavoro.

Ma i due valori costituzionali della tutela della vita e della salute dei lavoratori (ex art. 32 Cost.), da un lato, e il rispetto del principio di colpevolezza (ex art. 27, 1° comma Cost) riescono davvero a convivere senza entrare in conflitto tra loro?

La risposta non è così agevole. Se si considera che la responsabilità del datore di lavoro viene esclusa dalla giurisprudenza soltanto quando l’imprudenza del lavoratore si sia sostanziata in un comportamento talmente anomalo e abnorme, in quanto totalmente estraneo alla tipologia di prestazione lavorativa, da integrare una condizione sopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento.

Il comportamento imprudente del lavoratore non esclude, invece, la responsabilità del datore di lavoro se questi non abbia intrapreso alcuna azione concreta ad evitarlo, poiché la norma cautelare ha per scopo anche di prevenire gli errori e le imprudenze del dipendente

Danno Differenziale: cos’è.

Il c.d. danno differenziale è quello dovuto per la quota eccedente le indennità liquidate dall’Istituto Assicuratore e comprende tutte le tipologie di danno che il lavoratore ha subito a causa dell’infortunio, danno patrimoniale e non patrimoniale, e rimane a carico del datore di lavoro.

Come viene calcolato il Danno Differenziale?

L’art. 13 del Decreto Legislativo n. 38/2000 che prevede le indennità erogate dall’INAIL in base alla percentuale di invalidità permanente riconosciuta al dipendente infortunandosi sul lavoro:
– nessun indennizzo per danni inferiori al 6%;
– un indennizzo per danno biologico, versando una somma capitale per danni dal 6% al 15%;
– un indennizzo sotto forma di rendita vitalizia per danni dal 16% al 100%.

Va infine considerata la legittimazione dell’INAIL ad agire in regresso nei confronti del datore di lavoro e pretendere la restituzione degli indennizzi corrisposti, quando sia a questi attribuibile una responsabilità penale.  L’art. 10 del DPR 1124 del 1965 precisa infatti che “nonostante l’assicurazione, resta la responsabilità civile a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale l’infortunio è derivato.”

Licenziamenti e NASPI in periodo di COVID

di Bruno avv. Bellisai

L’emergenza Covid ha coinvolto diversi aspetti del mondo del lavoro, non ultimo quello riguardante il divieto di procedere ai licenziamenti.
Il D.L. n. 18 del 2020 ha sancito la nullità del licenziamento intimato successivamente al 17 marzo 2020 e allo stato attuale fino al 21 marzo 2021 in base alla legge di Bilancio 2021.
In tale periodo, ogni licenziamento per giustificato motivo oggettivo deve ritenersi nullo e non solo inefficace, con operatività della tutela reale (obbligo di reintegra ex art. 18 Stat. Lav. e art. 2 D.Lgs. n. 23/2015).

I licenziamenti sono tutti vietati?

No, in quanto rimangono ancora intimabili i licenziamenti:
– per cessazione dell’attività;- per fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa;
– per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa;
– in presenza di accordi collettivi aziendali di incentivazione alla risoluzione dei rapporti di lavoro stipulati con le organizzazioni sindacali rappresentative a livello nazionale.

Il lavoratore licenziato e indennità di disoccupazione.

In tutti i casi in cui il lavoratore perde il lavoro involontariamente, egli avrà comunque diritto a percepire la NASPI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego operativa dal 1° maggio 2015, detta anche Disoccupazione).

Chi può prendere la NASPI?

Oltre ai casi di perdita incolpevole del lavoro, la legge stabilisce che la NASPI spetta anche in caso di:
– dimissioni per giusta causa;- risoluzione consensuale del rapporto avvenuta nell’ambito della speciale procedura di conciliazione preventiva presso
– l’I.T.L. (ex Direzione Territoriale del Lavoro) prevista dall’art. 7 della L. 604/1966, così come modificato dall’art. 1, comma 40 della legge 92/2012 (tale ipotesi non applicabile agli assunti con contratto a tutele crescenti);
– licenziamento con successiva accettazione dell’offerta conciliativa ex art. 6 del D. Lgs. 23/2015;
– licenziamento disciplinare, con impugnazione dello stesso;
– risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta in sede protetta (attraverso la procedura di conciliazione presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente) o avvenuta a seguito del rifiuto del lavoratore a trasferirsi presso un’altra sede della stessa azienda, purché tale nuova sede disti oltre 50 KM dalla residenza del lavoratore o sia raggiungibile in 80 o più minuti con i mezzi di trasporto pubblici.

Requisiti essenziali per ottenere la “disoccupazione”

Per poter accedere alla NASPI, oltre alla perdita involontaria del lavoro, il lavoratore deve anche essere in possesso, congiuntamente, dei suddetti 3 requisiti:
– essere in stato di disoccupazione;
– avere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione;- avere 30 giorni di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione;
– non essere titolare di Partita Iva.

La NASPI è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà di quelle di contribuzione degli ultimi 4 anni, ha la durata massima di 24 mesi e ha come premessa l’immediata disponibilità al lavoro del richiedente.

ENASARCO e costi previdenziali per gli iscritti.

di Bruno Avv. Bellisai

I versamenti degli agenti di commercio e promotori finanziari sono una penalizzazione o un’equa contribuzione?

Agenti di commercio e consulenti finanziari, essendo obbligati a una doppia iscrizione obbligatoria all’INPS e all’ENASARCO, sopportano un costo previdenziale assai più elevato rispetto agli altri lavoratori del commercio (48% del reddito lordo rispetto al 37% degli altri lavoratori del commercio).

La contribuzione apporta benefici?

A fronte di tale esborso, agenti di commercio e consulenti finanziari non solo ricevono un’incomparabile minore assistenza in termini di Welfare, ma – ciò che è più grave – non ottengono alcun riconoscimento pensionistico qualora abbiano versato all’Enasarco contributi per un periodo inferiore a 20 anni.

La penalizzazione è evidente e le ragioni che l’Ente adduce (mantenere l’equilibrio finanziario) per conservare lo status quo non appare condivisibile né accettabile nemmeno sul piano giuridico.

Previdenza e solidarietà: le voci della contribuzione all’Enasarco

La contribuzione all’Enasarco si compone di due voci: la previdenza e la solidarietà. Anche volendo ammettere come corretta l’applicazione del principio solidaristico a un Ente privatizzato di previdenza integrativa, va rilevato che il trattenimento, oltre che dei contributi di solidarietà, anche dei contributi previdenziali da parte dell’Enasarco, nella fattispecie considerata, non può ritenersi coerente con l’elementare principio di equità sociale e parità di trattamento pensionistico con gli altri lavoratori.

Principio di equità sociale disatteso. Sotto questo profilo emergono fondati dubbi di incostituzionalità, considerando anche che altri Enti previdenziali riconoscono una pensione contributiva di vecchiaia dopo soli 5 anni di contribuzione.

SMART WORKING e CORONAVIRUS: prospettive e criticità.

di Bruno avv. Bellisai

Quella che si presentava come una strada obbligata per continuare l’attività economica durante la pandemia da Covid-19, si rivela essere un’importante novità per ristrutturare e riorganizzare il mondo del lavoro.

La recente notizia che un’impresa come Eni, con 21 mila dipendenti in Italia, programmi di adibire il 35% degli stessi in Smart working anche dopo la cessazione della pandemia in corso, dà l’idea di quali scenari si prospettano in un prossimo futuro. 

Il lavoro agile (L. n. 81 del 2017) e la ristrutturazione delle imprese

Il lavoro a distanza è visto in principalità come occasione per ridurre i costi, soprattutto strutturali (uffici, mobilio, mense e gestione interna del personale); e sicuramente a tale scopo il lavoro impiegatizio di tipo amministrativo è il più indicato, mentre mansioni rigorosamente tecniche meno si adattano.

Ai lavoratori agili viene inoltre garantita la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai colleghi che eseguono la prestazione lavorativa con modalità ordinaria.

Certo è che la diffusione del lavoro agile determinerà una maggiore flessibilità del lavoro e dei relativi tempi, con forte ricaduta positiva anche in ambito ambientale.

Lo Smart working è positivo sotto tutti gli aspetti?

Naturalmente no: non vanno, infatti, sottaciute alcune delicate problematiche che il lavoro agile comporta:

  • l’applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro
  • Il contributo dell’azienda ai costi legati alla connettività
  • L’idoneità degli spazi domestici adibiti ad ufficio
  • Il diritto alla disconnessione (art. 19 della L. 81 del 2017)
  • Sicurezza dei dati aziendali, gestiti e utilizzati all’esterno

Tali aspetti presentano notevoli criticità e dovranno essere oggetto di interventi normativi e regolamentari.

ENASARCO e contribuzione versata a fondo perduto

di Bruno Avv. Bellisai

Agli Agenti di Commercio e Promotori finanziari vengono sempre riconosciuti i versamenti previdenziali?

La Fondazione Enasarco, come noto, è legittimata a trattenere tutti i contributi versati dagli agenti di commercio e promotori finanziari, obbligatoriamente iscritti a detto ente, nell’ipotesi in cui non siano raggiunti almeno 20 anni di contribuzione.

Qual è la posizione di Enasarco?

La Fondazione Enasarco sostiene che non possono operare né l’istituto della totalizzazione, né quello del cumulo con i versamenti INPS, in quanto vi è coincidenza temporale di entrambi detti versamenti, attesa la loro obbligatorietà.

E’ possibile contrastare tale ingiustizia?

Non può essere condivisa l’obiezione avanzata dalla Fondazione Enasarco secondo cui i trattamenti dalla medesima erogati non sono di previdenza e assistenza sociale a differenza di quelli erogati dall’INPS, né la tesi che la coincidenza temporale dei versamenti ai due Enti è preclusiva del ricorso ai citati istituti.

L’elementare principio di giustizia sostanziale e di lealtà tra il contribuente previdenziale e la Fondazione, non può essere disatteso dal mancato riconoscimento di quasi venti anni di contribuzione, adducendo formali giustificazioni per il trattenimento a fondo perduto.

La questione giuridica è stata già affrontata dal nostro Studio ed è oggetto di contenzioso giudiziario.